lunedì 21 marzo 2011

Alluminio, Via del Terzo Gruppo 13

2011 Anno Internazionale della Chimica

http://www.ilb2b.it/news/elementi-alluminio-del-terzo-gruppo-13

Oggi gli oggetti di alluminio sono banali e diffusissimi, ma ai primi dell'Ottocento l'alluminio era ancora una sostanza misteriosa, benché fosse e sia il terzo elemento più diffuso sulla crosta terrestre, dopo l'ossigeno e il silicio. Il suo carattere misterioso è dovuto al fatto che l'alluminio si è trasformato, nella lunga storia geologica della Terra, in ossidi, idrati e silicati, difficilmente attaccabili da altri agenti chimici.

La scoperta che molti diffusi minerali nascondevano un "nuovo" metallo si deve al chimico tedesco Friedrich Wöhler (1800-1882), che nel 1827 riuscì a trasformare l'ossido di alluminio in cloruro di alluminio e ad ottenere, trattando il cloruro con potassio metallico, un metallo bianco, argenteo, leggero e molto bello, di peso atomico 27, resistente alla corrosione.

Nel 1854 il francese Saint-Claire Deville (1818-1881) scoprì che era possibile scomporre il cloruro di alluminio con sodio metallico, meno costoso del potassio usato da Wöhler. L’alluminio, per le sue proprietà, ebbe l'onore delle prime pagine dei giornali e fu presentato all’Esposizione universale di Parigi del 1855, sotto forma di monili, ornamenti e posaterie di lusso.

Napoleone III, comprendendo l'importanza del nuovo metallo, incoraggiò e sostenne una sua produzione industriale. Una materia prima abbondante fu trovata nella bauxite, un minerale di cui esistevano giacimenti in Francia intorno a Le Baux, nella Provenza. Un primo successo si ebbe con la scoperta che era possibile purificare la bauxite trattandola con acqua e idrato sodico; l'alluminio forma un idrato solubile mentre resta insolubile un fango contenente ossidi di ferro e di altri metalli. La soluzione contenente idrato di alluminio può essere scomposta in modo da ottenere una polvere di idrato di alluminio molto puro e da questo l'ossido di alluminio un processo perfezionato e brevettato nel 1888 dall'austriaco Karl Bayer (1849-1904). La trasformazione dell’ossido di alluminio in alluminio su larga scala fu resa possibile dalla disponibilità di elettricità a basso prezzo: due giovani inventori, entrambi di 22 anni, Paul Héroult (1863-1914) in Francia e Charles Hall (1863-1914) negli Stati Uniti, scoprirono indipendentemente e brevettarono, nel 1886, a poche ore di distanza, uno da una parte e uno dell'altra dell'Oceano, il processo elettrolitico che si segue ancora oggi.

L'invenzione consisteva nello "sciogliere" ad alta temperatura l'ossido di alluminio in una sostanza, la criolite, costituita da fluoruro di alluminio e potassio; il passaggio della corrente elettrica attraverso questa soluzione scompone l'ossido di alluminio in alluminio e in ossigeno che reagisce con l'elettrodo di carbone e da luogo alla formazione di ossido di carbonio. Con questo processo l'alluminio si avviava a diventare il nuovo metallo strategico e compariva sul mercato proprio nel momento in cui nascevano l'industria automobilistica e quella aeronautica; gli aeroplani avrebbero potuto sollevarsi e volare soltanto se la loro struttura fosse stata sufficientemente "leggera" e l'alluminio, che pesa tre volte meno del ferro, divenne subito il metallo favorito. Nel 1903 fu costruito il primo blocco motore per aereo in lega di alluminio e rame.

Durante tutto il Novecento la produzione di alluminio è aumentata continuamente. Attualmente vengono estratti ogni anno nel mondo 180 milioni di tonnellate di bauxite, principalmente in Australia, Brasile, Cina, Guinea, Giamaica, e vengono prodotti 28 milioni di tonnellate di alluminio primario (si tratta del secondo metallo come importanza industriale; la produzione del primo, l'acciaio, supera di poco i 1100 milioni di tonnellate all'anno). Altro alluminio è ottenuto dalla rifusione di rottami, lattine, imballaggi, eccetera; il consumo di energia per ottenere l'alluminio riciclato (alluminio secondario) è venti volte inferiore a quello che si ha quando si produce alluminio primario dalla bauxite.

Con l’alluminio è possibile preparare, con altri metalli, migliaia di leghe, ciascuna delle quali ha speciali proprietà. L'alluminio può essere reso resistente alla corrosione mediante un trattamento elettrolitico superficiale. La maggioranza degli impieghi sono nell'industria automobilistica, motociclistica, aeronautica, dove le proprietà di "leggerezza", cioè di basso peso specifico, sono particolarmente importanti, nell'industria elettrica, nella produzione di imballaggi anche alimentari, in edilizia e in innumerevoli altri campi.

La Chimica nel bene e nel male

2011 Anno Internazionale della Chimica

La Gazzetta del Mezzogiorno, mercoledì 16 marzo 2011

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Immaginate Parigi, un freddo capannone, col tetto sconnesso e una giovane immigrata polacca, Marie Sklodowska (1867-1934), alle prese con un mucchio di terra costituita dalle scorie della miniera ceca di Joachimsthal, con l’incarico di cercare di identificare quale frazione di questi rifiuti era capace di impressionare al buio delle lastre fotografiche, come aveva scoperto il suo “principale” il grande fisico Henri Becquerel (1852-1908). E’ aiutata dal marito il giovane professore francese, Pierre Curie (1859-1906), che aveva messo a punto uno strumento capace di svelare la strana attività di quel “qualcosa” contenuto in tali rifiuti. Come è noto, i due Curie identificarono la fonte di quella che chiamarono “radioattività”, in due nuovi elementi chimici, il radio e il polonio. Becquerel e i due Curie ebbero il premio Nobel per la fisica nel 1903. Ma l’avventura di Marie Curie non si darebbe fermata; per le ricerche sulla separazione chimica dei due nuovi elementi allo stato puro, l’argomento della sua tesi di laurea in chimica, la Curie ottenne anche il premio Nobel per la chimica nel 1911. Le Nazioni Unite hanno deciso di proclamare ”Anno internazionale della Chimica” il 2011, il centenario del secondo premio Nobel per Marie Curie.

Strano destino quello della chimica, un nome che affonda le radici nel mondo medievale, viene da una parola araba che indica l’abilità di trasformare i corpi della natura, ammantata di mistero quando si pensa agli alchimisti che promettevano agli avidi potenti di trasformare i metalli vili in oro; fino alla fine del Settecento quando sono stati gettate le fondamenta della chimica moderna, capace di trasformare il sale del mare in detersivi, lo zolfo e i minerali in concimi, e poi di trasformare i gas dell’aria e i residui del carbone e il petrolio in innumerevoli prodotti commerciali, fino alle materie plastiche, alle fibre e alla gomma sintetica, e poi medicinali, esplosivi, cosmetici, eccetera. La chimica esaltata quando si sperava che fosse capace di produrre agenti capaci di distruggere i parassiti, fino a quando non si sono scoperte le trappole in cui era possibile cadere dall’uso dei pesticidi sintetici, l’”arte” che salva le vite e che avvelena.

Di queste contraddizioni si fa interprete il linguaggio comune per cui molte cose “buone” vengono presentate “senza chimica”, e molte cose “cattive” sono presentate come “chimica”. Alla cattiva fama della chimica hanno contribuito incidenti industriali, come quelli di Seveso e di Manfredonia, e la delusione delle fabbriche che sono state chiuse una dopo l’altra lasciandosi dietro terreni contaminati e disoccupazione. Chimica poco conosciuta e poco amata, spesso insegnata male e senza amore, per cui si può dire che esistono, anche fra le persone colte e gli intellettuali, molti analfabeti di chimica.

Eppure la conoscenza della chimica apre gli occhi su orizzonti sterminati e mostra, mi perdonino i lettori, anche una intrinseca bellezza e armonia e rappresenta una sgida per il futuro. Mediante metodi chimici e chimico-fisici sempre più raffinati è possibile svelare la contaminazione degli alimenti, la presenza di pesticidi nelle verdure, la presenza di agenti inquinanti nell’aria; i metodi di analisi chimica hanno permesso di svelare la formazione di diossine negli inceneritori, di idrocarburi cancerogeni nei fumi delle combustioni, ma anche le frodi consistenti nella miscelazione di oli di mandorle e nocciole con l’olio di oliva, la presenza di rottami radioattivi nelle importazioni destinate alle fonderie di metalli.

Anzi c’è disperato bisogno di un crescente numero di buoni chimici proprio nei servizi pubblici di repressione delle frodi e di difesa della salute. C’è poi lo sterminato campo della chimica delle sostanze naturali; il mondo vegetale e animale contiene innumerevoli sostanze, in gran parte ancora misteriose, che potrebbero curare malattie e combattere i parassiti, che potrebbero fornire fonti di energia rinnovabili e non inquinanti o materie plastiche alternative a quelle del petrolio.

Benché la chimica delle sostanze naturali sia studiata in molti laboratori, la fantasia della natura è così grande che ci vorrebbero decenni di lavoro e tantissimi (bravi) chimici per svelare i suoi segreti; non va dimenticato che la maggior parte dei medicinali che usiamo derivano, direttamente o indirettamente, dma modificazioni chimiche di sostanze naturali, l’aspirina da componenti delle foglie del salice, i cortisonici dagli steroli naturali, eccetera. Quel DNA di cui si parla nelle indagini poliziesche (è l’acronimo del nome di una precisa sostanza chimica), si può caratterizzare con raffinate tecniche messe a punto da chimici e ormai praticate in tantissimi laboratori.

Sempre di più i chimici riescono a modificare su misura le molecole in modo da scoprirne nuove proprietà, talvolta verificando le proprietà che erano state previste teoricamente con i calcolatori elettronici. E proprio questi, i computer, sono così potenti e stanno diventando sempre più potenti perché i chimici e i fisici insieme modificano dei piccolissimi pezzi di materia per costringere il silicio e altri “semiconduttori”, a immagazzinare grandissime quantità di informazioni in uno spazio sempre più ristretto. Se godete dei colori brillanti dello schermo dei vostri televisori ringraziate i chimici che hanno caratterizzato ed estratto dai minerali l’europio e altri elementi delle terre rare, che, stesi sui monitor, riescono a generare immagini così realistiche.

Ed esiste poi la grande chimica più “volgare”, quella delle industrie chimiche, detestate e contestate, ma di cui non potremmo fare a meno se vogliamo che i campi siano fertili, so vogliamo correre con le automobili su ruote coperte di gomma sintetica, se ci pavoneggiamo in bei vestiti di fibre sintetiche, se possiamo portare la spesa a casa dal negozio dentro i “sacchetti” biodegradabili; e anche le buste riutilizzabili alternative sono ottenute con fibre sintetiche o con fibre naturali trattate con la detestata “chimica”. E chimici sono i processi che trasformano i minerali in acciaio o alluminio o rame, processi che generano fumi e rifiuti ma solo perché la chimica viene usata poco e male, e invece adatti processi chimici potrebbero abbattere le nocività ambientali che escono dai camini, se tanti imprenditori non volessero risparmiare soldi, a spese della salute altrui.

E la chimica protegge i metalli dalla corrosione con vernici, e protegge i raccolti trasformandoli in alimenti con processi di conservazione. Se fosse vero quello che ho finora detto ci sarebbe da chiedersi perché la chimica è così detestata. La ragione credo vada cercata nella incapacità sia delle industrie, sia del mondo accademico, di parlare con sincerità e chiarezza sul rispettivo operare. Spesso la chimica viene presentata con discorsi melensi, quasi difesa di ufficio per mettere a tacere i critici. Il grande chimico Linus Pauling (1901-1994), premio Nobel per la chimica (e con un secondo premio Nobel per la Pace) scrisse una volta che i chimici devono smettere di parlare soltanto alle loro provette e devono imparare a parlare “al popolo”. Pensate che, purtroppo, non c’è una rivista popolare che parli di chimica in maniera chiara, spregiudicata e sincera, che parli di chi ha fatto progredire la chimica e di chi la sta facendo progredire, non con fatue esposizioni pubblicitarie, ma nel silenzio dei laboratori e della fantasia.

sabato 12 marzo 2011

Benzopirene: nemico numero uno

2011 Anno internazionale della Chimica

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 1 marzo 2011.

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Con un opportuno decreto la Regione Puglia ha stabilito, dopo anni di rinvii, che la massima concentrazione nell’atmosfera del benzopirene non debba superare il valore di un nanogrammo (milionesimo di milligrammo) per metro cubo. Il benzopirene è la più cancerogena fra le sostanze presenti nelle polveri che si formano in tutti i processi di combustione.

La presenza di qualcosa di tossico e cancerogeno fra i prodotti di trasformazione del carbone è stata denunciata già nel 1775 dal medico inglese Sir Percival Pott (1714-1788), che osservò la comparsa di tumori negli spazzacamini, gli operai addetti alla pulizia dei camini. Si trattava soprattutto di sventurati bambini che, essendo piccoli, venivano calati nelle canne fumarie e, con adatte spazzole, rimuovevano la fuliggine, depositata sulle pareti interne, che loro assorbivano sulla pelle e nei polmoni. La formazione di una fastidiosa polvere nera era stata osservata, da sempre, nella combustione del legno e ancora più quando è cominciato l’uso del carbone nella Londra del Cinquecento.

I tumori che Pott aveva osservato negli spazzacamini furono riscontrati anche nei lavoratori addetti alla produzione del carbone coke, impiegato in siderurgia, ottenuto scaldando ad alta temperatura, in assenza d’aria, entro grandi “stufe” chiuse, il carbone fossile. In questa operazione si formavano anche grandi quantità di prodotti gassosi, liquidi e catramosi. In un primo tempo venivano buttati via, poi i chimici cominciarono ad analizzarli e videro che potevano avere molte utilizzazioni, tanto che i sottoprodotti delle cokerie divennero materie prime per vari processi. Dalle frazioni liquide e catramose fu possibile ricavare molte molecole, come fenolo, cresoli, naftalina, antracene, eccetera, adatte per la produzione di coloranti, medicinali, disinfettanti, esplosivi. Maggiori rese si ottenevano sottoponendo a distillazione anche l’ultimo residuo, il catrame di carbon fossile.

Davanti alla comparsa di tumori negli addetti a tutte queste lavorazioni, i chimici e i biologi cercarono di identificare la causa di tali malattie; per molti decenni la fuliggine e i derivati del catrame vennero spennellati sulla pelle dei topi da laboratorio per vedere quali frazioni erano più cancerogene. Nei primi del Novecento i perfezionamenti dei metodi di analisi chimica consentirono di separare e caratterizzare numerose sostanze che si rivelarono cancerogene. Si trattava in gran parte di idrocarburi aromatici policiclici, contenenti diecine di atomi di carbonio e idrogeno uniti fra loro in “anelli”.

La svolta fondamentale si ebbe con le ricerche condotte negli anni trenta del Novecento da James Wilfred Cook (1900-1975) che preparò per sintesi numerosi idrocarburi policiclici ad alto grado di purezza con cui fu possibile riconoscere il vario grado di cancerogenicità di ciascuno. Il più tossico si rivelò appunto il 3,4-benzopirene, generalmente indicato come benzo(a)pirene per distinguerlo dal benzo(e)pirene (4,5-benzopirene) che ha lo stesso numero di atomi di carbonio e idrogeno, ma disposti diversamente. Negli anni 40 fu possibile anche identificare a quali strutture molecolari era maggiormente associata l’attività cancerogena. Per inciso è stato l’argomento della mia tesi di laurea in chimica nel 1949 nell’Università di Bari e di un successivo libro.

A questo punto si trattava di vedere quale fosse l’origine di questi inquinanti dell’atmosfera e dell’ambiente, tanto dannosi per la salute umana. Innanzitutto una fonte importante sono le attività legate al carbone, sia come combustibile sia per il suo impiego in siderurgia; ancora oggi, ormai solo a Taranto, viene prodotto coke siderurgico in “stufe” in cui si formano benzopirene e simili idrocarburi cancerogeni che in parte finiscono nell’atmosfera. Oggi i derivati della distillazione del catrame di carbone vengono prodotti per via petrolchimica, ma per decenni i lavoratori del settore della carbochimica sono stati esposti al contatto con idrocarburi cancerogeni.

Poi si è visto che il benzopirene e simili idrocarburi si formano in tutte le combustioni incomplete; per esempio nella combustione del gasolio, per cui sono presenti nei gas di scarico degli autoveicoli, ma anche nel riscaldamento dei grassi e perfino nel fumo dell’incenso. In particolare le sostanze catramose che si formano nel fumo delle sigarette contengono benzopirene, fonte dei tumori al polmone che rappresentano la causa di circa un quarto delle morti per cancro. Il benzopirene e simili idrocarburi cancerogeni sono quindi da considerare il nemico ambientale numero uno da combattere, ed è giusto limitarne le emissioni anche a costo di disturbare interessi industriali.

mercoledì 9 marzo 2011

SM 2884 -- Non ci sono emissioni zero -- 2007

2011 Anno internazionale della Chimica
La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 13 novembre 2007

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Un signore mi ha scritto comunicandomi di aver inventato una macchina che funziona con emissioni zero: la si può applicare con successo alla marmitta delle automobili, ai camini delle caldaie e a molti altri processi inquinanti. Cerco di spiegargli che non si può promettere un qualsiasi dispositivo con emissioni zero: qualsiasi processo che ha a che fare con la trasformazione della materia --- un processo che brucia benzina con ossigeno, un processo che trasforma calcare e sabbia in cemento, eccetera --- alla fine inevitabilmente emette nell'ambiente qualcosa che non è "zero". Il mio interlocutore mi risponde un po' stizzito che evidentemente non leggo i giornali e le riviste o non consulto Internet perché ci sono migliaia di casi in cui si parla di emissioni zero. Le più diffuse promesse di "emissioni zero" riguardano le automobili, nelle quali, come si sa, le ruote possono girare grazie alla trasmissione del movimento avanti e indietro di un pistone in un "cilindro". Nel cilindro viene immessa benzina e aria; l'ossigeno dell'aria, reagendo con il carbonio e l'idrogeno della benzina, fa aumentare nel cilindro la temperatura e il volume dei gas che, espandendosi, spostano il pistone.

martedì 8 marzo 2011

La cattura dell'anidride carbonica

2011 Anno Internazionale della Chimica
La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 8 marzo 2011

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Nei giorni scorsi a Cerano, vicino Brindisi, è stato inaugurato un impianto pilota per la cattura dell’anidride carbonica CO2 immessa nell’atmosfera dalla locale centrale termoelettrica. Strano gas questa CO2, così importante per tutto il ciclo della vita sulla Terra, sostanzialmente innocuo (è proprio lui che rende frizzanti le acque in bottiglia e le bevande “gassate”), ma così fastidioso quando viene immesso in “eccessiva” quantità nell’atmosfera.

sabato 5 marzo 2011

Persone della Chimica: Justus von Liebig

2011 Anno Internazionale della Chimica

Liebig sperimentatore

Liebig è diventato grande scienziato partendo da modeste condizioni. La leggenda vuole che sia stato uno scadente scolaro; era figlio di un droghiere e ben presto si mise a bazzicare con le sostanze del retrobottega del padre e mostrò una passione grandissima per la chimica e le sostanze materiali.

Nel 1826, a ventitre anni, fu chiamato ad insegnare nell'Università di Giessen, dove rimase fino al 1852 quando, ormai celebre internazionalmente, fu chiamato all'Università di Monaco dove rimase fino alla morte, nel 1873. Fu nominato barone nel 1845.